Jump to content

  •  


CULTURA E TRADIZIONI POPOLARI


La vita odierna, con i suoi mutamenti continui, con il costante stimolo per gli individui ad avere sempre di più, con gli affanni e le preoccupazioni che tutti i giorni si manifestano, sembra faccia perdere il ricordo di avvenimenti, usanze, modi di vita del passato. Potrebbe sembrare addirittura che il bagaglio culturale che si è ereditato dagli antenati sia alquanto inutile, alla luce degli avvenimenti di cui ogni giorno ci si trova investiti, e ci si convince che anche il solo ricordare, sia un inutile tuffo nel passato. Se si considerano però, le tradizioni, interpretandole semplicemente come storia locale, ci si rende conto di quale bagaglio di esperienze e di saggezza ci sia stato lasciato e tale eredità deve essere considerata non come qualcosa da dimenticare o come peso da portare o tollerare, ma come guida per un futuro migliore. Avvalendoci di queste considerazioni, abbiamo cercato di riscoprire il maggior numero di tradizioni e di usanze dei nostri antenati, cercando anche di capire il perché di determinate credenze. Una leggenda popolare sulle origini del paese racconta che, in tempi remoti, Portoscuso sorgeva sulle alture conosciute ancora oggi, con il nome is Concaleddus. Gli abitanti del paese erano malvagi, avidi e senza alcun timore né per le leggi umane, né per quelle divine. Si scatenò così su di essi l'ira di Dio; infatti una violenta burrasca sollevò le onde del mare che sommersero il paese, distruggendo tutte le case ed uccidendo tutti gli abitanti. Quando la furia degli elementi si placò, il paese era scomparso e i suoi abitanti erano stati trasformati da Dio in cinibiri, piante simili al ginepro selvatico, tipiche della zona, dalle caratteristiche singolari: un po' contorte e irte di spine, quasi a voler significare con esse la malvagità degli uomini. Questa leggenda si intreccia ad un'altra tradizione tramandata da padre in figlio che narra come i pisani, che avevano fondato Villa di Chiesa (Iglesias) usassero le insenature di Portoscuso quale punto di approdo per le loro navi che tenevano i. contatti con la città di Pisa. Avevano costruito una torre di avvistamento, nello stesso punto dove sorge l'attuale; avevano costruito case e fontane, che poi sarebbero state distrutte dagli aragonesi. Ancora oggi gli anziani chiamano la torre "Turri Pisana". Si potrebbe supporre che col passare degli anni, la furia degli aragonesi sia stata identificata con quella divina, ed il paese distrutto e la popolazione sterminata, venisse identificata con i pisani sopraffatti dai conquistatori. La nuova popolazione che in seguito si era stabilita intorno a su Pranu e alla Torre, guardava con timore verso is Concaleddus e cercava di condurre una vita morigerata, nel pieno rispetto delle leggi divine. Ad alimentare questa leggenda, contribuiva anche il ritrovamento a is Concaleddus di resti di utensili di foggia inusuale, che venivano alla luce quando la furia del vento faceva sollevare nugoli di sabbia. A Portoscuso si era dunque creato un ambiente familiare, basato sull'amore e sulla solidarietà per il prossimo. Inoltre, essendo la gente particolarmente religiosa, si era organizzata la vita secondo il modello cristiano. Tutte le tradizioni e le usanze hanno pertanto un carattere religioso, spesso un frammisto di pagano e di superstizioso, che ci illumina sulla vita severa e rigorosa che si conduceva e sulla rassegnata accettazione di fronte a determinati avvenimenti. Nelle lunghe serate invernali, dopo i rintocchi dell'Avemaria, cessava nel villaggio ogni attività, le strade si spopolavano e venivano sommerse dal buio più completo. Nelle case intanto si accendevano i lumi e la famiglia si riuniva attorno al caminetto; s'incominciava così a raccontare avvenimenti del passato, favole e storie di fantasmi, che accendevano la fantasia di piccini e di grandi. In tal modo si alimentavano credenze e superstizioni, e, se nel mezzo della notte si udivano strani rumori, erano sicuramente i fantasmi che peregrinavano senza pace. Poteva capitare che qualcuno ricevesse da qualche spirito un particolare suggerimento, che di solito era l'indicazione di un luogo dove era nascosto su scrisciosciu, il tesoro. Naturalmente il prescelto doveva individuare il luogo senza che nessun altro ne fosse a conoscenza, altrimenti su scrisciosciu si sarebbe dissolto nel nulla. Le difficoltà quotidiane e la mancanza di servizi sociali, costringevano la popolazione a doversi arrangiare, tenendo in gran conto gli insegnamenti tramandati da padre in figlio. Così per quanto riguarda le cure in casi di malattia, troviamo un largo uso delle erbe raccolte nelle campagne circostanti. Tra queste troviamo sa brundaiana con la quale si preparava un decotto da bere in caso di malaria, sa narbedda dalla quale si ricavava un unguento usato per le infezioni della pelle, s'ocaliptu usato per il raffredore (affumentus) e se qualcuno veniva colpito da favismo, veniva tenuto per oltre tre giorni in una fossa ricoperta da letame di cavallo, fino a quando non dava segni di ripresa. Se nonostante tutte le cure prodigate, il malato non accennava a guarire, subentrava la magia e la superstizione. Così si mettevano in moto i vari rimedi contro il malocchio; lo stesso prete veniva chiamato in causa per benedire persone e cose, in modo da allontanare gli spiriti maligni. D'altronde abbiamo potuto constatare che il parroco, nel registro dei morti, indicava talune volte, come causa del decesso, il maleficio. Per l'educazione dei più giovani si faceva largo uso di proverbi, ossia is diccius. Tutta la saggezza popolare è tuttora espressa dalle persone più anziane con essi.

CARNEVALE


Uno dei periodi che rallegravano il villaggio era il Carnevale; venivano infatti organizzate delle mascherate, balli e zippolate. Tutto finiva la sera del mercoledì delle ceneri, quando si organizzava lo sparo al gallo. Il gioco si svolgeva a sa Caletta; un gallo veniva legato alla sommità di un palo, issato su una roccia chiamata Sa Punta de s'Arrosariu. Chi riusciva a colpirlo con una schioppettata, se lo portava via in premio.

TONNO E VENDEMMIA


Le usanze connesse soprattutto alla pesca del tonno e alla vendemmia, sono quasi dei tutto scomparse; esse erano una delle tante occasioni in cui si vedeva riunita la comunità, operosa ed allegra. Canti, musiche, balli, scherzi rallegravano la fine di ogni giornata piena di fatica, ma anche di soddisfazione.

PASCA MANNA


La maggior festa dell'anno era considerata sa Pasca Manna, o Pasqua di Resurrezione, che ha subito alcune modifiche da quando esiste a Portoscuso la seconda parrocchia dedicata a San Giovanni Battista. In cira santa si viveva nei minimi particolari i giorni di dolore di Cristo, e il paese piombava nell'assoluta tristezza.Le Sagre Sa giobia santa, all'imbrunire veniva portato in processione il simulacro della Madonna Addolorata, chiamata Nastra Segnora de is settis dolorisi; il celebrante indossava il piviale viola e seguivano i fedeli cantando is goggius. Secondo la tradizione popolare la processione simboleggiava Maria che andava disperata in cerca del Figlio, trovandolo poi nel Cenacolo. Al rientro in chiesa veniva celebrata la Coena Domini: il celebrante indossava i paramenti pasquali e si officiava la messa cantata. A Gloria tutte le campane suonavano a festa, per poi tacere fino al giorno della Resurrezione. Il loro suono veniva sostituito da quello de is matracculas, strumento formato da una tavola verticale con un batacchio di ferro per parte. Dopo la Comunione, al canto del Pange Lingua, il Santissimo veniva portato, sotto i baldacchino, in un altare laterale, chiamato il sepolcro, addobbato di candele, fiori e su nenniri, cioè germogli di grano e riso, fatti nascere al buio proprio per l'occasione de sa cira santa. A questo punto terminavano le funzioni ed iniziava l'adorazione dei fedeli. Le Sagre Sa cenabara santa, veniva vissuta dalla popolazione come il giorno più triste del calendario cristiano. Mentre la chiesa osservava per tutta la mattinata un atteggiamento di mestizia, alle tre del pomeriggio avevano inizio le funzioni del Venerdì Santo, annunziato alla popolazione dal suono de is matracculas. Intanto trentatre rintocchi del campanone annunciavano che Cristo era morto. Aveva inizio la Via Crucis con il simulacro di Gesù morto. Seguiva la funzione de su Scravamentu, l'adorazione della croce e sa missa sfundoriara, chiamata così dal popolo, perché diversa dall'ordinario rituale. Alla sera tarda si svolgeva la più bella e sentita processione dell'anno, quella del Venerdì Santo; pochi erano i motivi di distrazione e tutti partecipavano in assoluto raccoglimento al mesto corteo, aperto da una piccola croce in legno, ricoperta da una fascia bianca; seguivano i fedeli cantando i goggius del giorno, mentre la grande croce veniva portata da chi aveva fatto un'impromittenzia; poi il celebrante con i paramenti neri e dietro di lui il simulacro di Gesù morto, sotto il baldacchino. (Fino al 1955 si portava in processione un bellissimo crocifisso che secondo la tradizione popolare era stato donato alla chiesa di Portoscuso dalla regina Isabella di Spagna). Chiudevano il corteo is Maralenas e is Faraonis e, ultimo, il simulacro dell'Addolorata. Essendo l'ora tarda e mancando l'illuminazione pubblica, era usanza mettere in ogni porta o finestra una lampada o torcia, mentre ai lati dei simulacri c'erano i pescatori che tagliavano quelle profonde tenebre con la luce de is lamparas po farcai. Is Faraonis è un nome che deriva dallo spagnolo "veron" che indica una persona di prestigio. Questi personaggi erano dunque dei gentiluomini spagnoli del seicento che, al seguito di Cristo morto, rappresentavano l'autorità. Nella tradizione popolare is veronis è stato modificato in faraonis e quindi i personaggi scambiati per i farisei che portano il Cristo alla morte. Is Faraonis sono quattro, mentre is Maralenas sono due ragazze che rappresentano Maria Maddalena e San Giovanni. Su saburu santu era il giorno della letizia nell'attesa del grande evento. In ogni casa, imbiancata e ripulita precedentemente, si preparava s'anguglia, tipico dolce pasquale, fatto di biscotto con uno o più uova sode d'ornamento, che i ragazzi avrebbero portato in chiesa. Gli uomini si recavano all'alba in campagna per espletare lavori leggeri, o po castiai su logu, mentre sa mer'e sa domu restava a casa, impegnata negli ultimi preparativi atti a festeggiare degnamente la Resurrezione di Cristo. In chiesa intanto venivano celebrate le varie funzioni inerenti la liturgia pasquale: in una coberina veniva benedetta l'acqua, poi la benedizione del fuoco, acceso con una pietra focaia. Alle ore 10, al canto del Gloria, le campane suonavano a festa per annunciare che Cristo è risorto. Allora le donne rimaste a casa, spalancavano porte e finestre e con una pertia de sermentu battevano sui letti e sulle suppellettili gridando: "tocca a forasa giureusu chè torrau su veru Deu". Andavano quindi ad assistere alla Messa ed al ritorno, con la palma o l'ulivo benedetto, aspergevano tutte le pareti della casa. Anche i ragazzini prendevano la loro dose benevola di colpi de pertia con l'intento di scacciare gli spiriti maligni. Si consumava infine un parco pranzo composto di solito da verdure cotte e uova; di pomeriggio veniva ammazzato l'agnello che avrebbe arricchito il pranzo pasquale della domenica. Il giorno dopo, sa die de Pasca, era il giorno di grande gioia; tutta la famiglia indossava l'abito nuovo e si avviava in chiesa per partecipare a s'Incontru di Gesù risorto e la Madonna. Questa processione è di origine spagnola; ancora oggi permane l'uso del triplice inchino fra i simulacri, quando, dopo un lungo giro per la maggior parte delle vie del paese, in due processioni distinte, gli uomini con Gesù e il celebrante e le donne con la Madonna, finalmente s'incontrano nella piazza di Santa Maria d'Itria. A questo punto i cacciatori sparavano cartucce caricate con la crusca unendosi al fragore delle campane a festa. Finita sa missa manna, le famiglie si riunivano nella casa del patriarca per consumare tutti insieme il pranzo pasquale.

SANTA MARIA D'ITRIA


Un'altra tradizione molto sentita e seguita da tutta la comunità è la festa della Patrona di Portoscuso Santa Maria d'Itria.Le Sagre Il nome d'Itria è la contrazione di Odigitria, parola che significa: mostra la via. Veniva così chiamato il Tempio che si trovava a Costantinopoli, eretto per custodire ed onorare un quadro che raffigurava la Madonna. Sono molte le interpretazioni su come la venerazione della Madonna d'Itria sia giunta in Italia, tutte hanno comunque una stessa origine: un quadro della Vergine dipinto da San Luca Evangelista. Le Sagre Secondo l'interpretazione di Mons. Michele Samarelli, canonico della Chiesa Metropolitana di Bari, che riteniamo la più attendibile, nell'anno 450 Pulcheria, imperatrice di Costantinopoli, ricevette in dono da Eudocia, vedova di Teodosio 11, il quadro della Madonna. Durante una violenta persecuzione delle sante immagini, voluta dall'imperatore Leone l'Isaurico, due monaci, travestiti da marinai, nascosero il quadro in una cassa e con esso s'imbarcarono diretti in Italia, con l'intento di consegnare l'immagine al Papa Gregorio. Una violenta tempesta mandò alla deriva le navi e quella che custodiva il quadro, all'alba del primo martedì di marzo dell'anno 733, approdò a Bari. I marinai baresi, ritenendo il quadro miracoloso, costrinsero i monaci a lasciarlo in questa località, dove incominciò ad essere venerato con il nome contratto di Santa Vergine d'Itria.Le Sagre Da qui il culto si propagò e venne portato anche a Cagliari da venti schiavi liberati, che fondarono la confraternita. A Portoscuso è Patrona da sempre, con il nome di Santa Maria d'Itria. Il culto risale al periodo della piena attività della tonnara e supponiamo sia stato portato dai Rais provenienti da Trapani. Nell'inventario della tonnara dell'anno 1630 troviamo infatti, nell'elenco degli arredi, un quadro di scarso valore e antico, dove è raffigurata l'effigie della Madonna d'Itria. Secondo la tradizione popolare il quadro era stato portato nella nuova chiesa e durante una delle tante incursioni saracene venne colpito da alcuni proiettili. Dopo parecchi anni il proprietario della tonnara lo portò a Genova, con l'intento di farlo restaurare. Il quadro non fece più ritorno nella chiesa di Portoscuso, ma in sua sostituzione venne portato un simulacro che riproduceva l'effigie originale. Il martedì di Pentecoste, 52 giorni dopo la Pasqua, ricade la ricorrenza della festività e si svolge una caratteristica processione in parte in mare e in parte per le vie del paese. Infatti per l'occasione vengono addobbate le barche con fiori e bandiere, e sulla prescelta viene imbarcato il simulacro; dopo un tragitto in mare dal porto di Portovesme al porticciolo de su Scaru, inizia la processione lungo le vie del paese, decorate a festa. Questa festa che ormai si ripete da secoli è seguita con particolare dedizione dalla gente del luogo, ma attira anche una moltitudine di persone dai paesi limitrofi.

CORPUS DOMINI


Per il Corpus Domini, si usava preparare in ogni rione una cappella, cercando di addobbarla nel migliore dei modi. Quando alla sera si concludevano le cerimonie, era d'uso riunirsi nel rione dov'era stata realizzata quella che era ritenuta la cappella migliore. Si festeggiava quindi con canti accompagnati dal suono de su sonettu e della chitarra.

SAN GIOVANNI BATTISTA


Simpatica tradizione è quella de su fagaroni de santu Giuani. Era il divertimento dei ragazzi che, alcune settimane prima, raccoglievano s'arromaniu in grandi quantità per bruciarlo la notte dela vigilia. Canti a Trallalera, balli e divertimento duravano sino a notte inoltrata, quando tutta la popolazione si recava a su Scaru per lavarsi i piedi a mare. Presente in questa tradizione l'antico culto del fuoco e dell'acqua. Dal 1971, anno in cui è stata costituita la parrocchia di San Giovanni Battista (la cui chiesa è stata inaugurata l'8 dicembre dell'anno 1982), questa festa assume un carattere particolarmente religioso, diventando una delle principali ricorrenze del paese.

FERRAGOSTO


Una festa religiosa altrettanto bella, ma purtroppo da vari anni caduta in disuso, è quella dell'Assunta, che veniva organizzata dalla Compagnia Portuale di Portoscuso. Quel giorno coincideva anche con la fine del contratto dei servi-pastori e agricoltori con i proprietari. Essi pagavano in denaro e in bestiame i loro servitori, i quali passavano poi ad un altro padrone, o in alcuni casi a "miglior vita". La festa culminava a sera tardi con un grandioso falò allestito nella piazza chiesa e inoltre fuochi d'artificio e spari a salve a su Scaru. Si usava fare la pasta in casa; le nubili facevano is maccharronis de busa, preparavano il tutto in is crobeddas, e al suono di flauti di canna e sonettus li portavano in dono al prete ed al predicatore. Vi erano inoltre delle particolari occasioni che seguivano singolari rituali, quali i preparativi per un matrimonio o per un battesimo, rituali oggi del tutto dimenticati. Le usanze cadute in disuso sono tante ma, fra queste, vale la pena di ricordarne una, particolarmente simpatica, concernente il Capodanno. Si preparava per l'occasione su trigu cottu cioè il grano cotto nell'acqua e condito con saba e latte, secondo i gusti. Questo piatto prelibato veniva mangiato in famiglia e offerto agli amici come augurio di prosperità e abbondanza.